Prima che Antonio Longanesi, detto Bursôn, come erano e continuano ad essere conosciuti i membri della famiglia Longanesi, potesse stupirsi davanti al più inaspettato dei calici di vino passarono diversi anni. Nel 1913 Antonio acquistò per sé e per la propria famiglia una proprietà in quel di Bagnacavallo, ma solo fu nel 1920 che notò una vecchia, insolita vite selvatica abbarbicata a una quercia al confine di un roccolo (N.d.A. si tratta di una zona boschiva al limitare dei fondi agricoli, usata per rifornirsi di legna o per la caccia a uccelli di piccola taglia). Antonio Longanesi rimase colpito a tal punto dalla resistenza dimostrata dalla pianta alle malattie fungine e dall’insolito colore e dimensione degli acini che si decise a tentarne la vinificazione. Il risultato fu sorprendente: dal tino era venuto fuori un vino eccellente, con una buona componente alcolica, apprezzato tanto dalla famiglia che dagli amici dei Longanesi. Antonio ancora non lo sapeva, ma quella che aveva visto la luce era la prima vendemmia del futuro Bursôn.
Un vitigno unico in cerca d’autore.
Antonio Longanesi impiantò il primo vigneto a uva Longanesi nel 1956, seguito timidamente da altri produttori, contribuendo così alla diffusione del vitigno nel territorio che circonda Bagnacavallo. Questa zona non è propriamente conosciuta per la sua particolare altitudine, anzi. Quella che si pratica è una viticoltura di pianura, termini che portano gli appassionati e i conoscitori della Romagna enologica a pensare subito al trebbiano e ai vini bianchi, più che a un rosso importante e oltretutto da invecchiamento come il Bursôn. Ma proprio i primi eccellenti risultati, ottenuti in cantina dall’enologo Sergio Ragazzini, convinsero Daniele Longanesi, il nipote di Antonio, insieme a un pugno di altri produttori, a battersi per la valorizzazione di questo straordinario vitigno, fino alla fondazione, nel 1999 del “Consorzio Il Bagnacavallo”. Nel 2000, il vitigno ritrovato da Antonio Longanesi nel 1920 venne iscritto nel Registro Nazionale delle Varietà di Vite come “Uva Longanesi”, dal nome del suo salvatore. Questo gli garantì finalmente un posto sulla carta geografica dei più importanti vitigni italiani e lo sottrasse all’anonimato in cui rischiava di rimanere. Fu un risultato eccezionale, frutto della lunga battaglia portata avanti dal “Consorzio il Bagnacavallo”, e ottenuto anche grazie alle analisi eseguite presso l’ESAVE di Faenza e agli studi sul DNA della varietà effettuate presso l'Istituto Agrario di San Michele all'Adige, le quali confermarono inequivocabilmente che si trattava di un vitigno diverso da qualsiasi altro fino ad allora conosciuto.
Questa zona non è propriamente conosciuta per la sua particolare altitudine, anzi.
Bagnacavallo: la terra dell’abbondanza.
Il “Consorzio il Bagnacavallo” nasce con l’obiettivo non solo di tutelare e promuovere il Bursôn, ma anche tutti i prodotti tipici del territorio, dall’aceto al miele, dalle confetture ai distillati, fino alla torta di San Michele, il dolce tipico di Bagnacavallo che viene preparato in settembre, in occasione della festa del Santo patrono. Quella di Bagnacavallo è una zona dove la cultura del pane e del vino hanno permesso di esprimere da sempre prodotti eno-gastronomici di altissimo livello. Dopotutto, Bagnacavallo si trova al centro di una zona particolarmente fertile, stretta com’è fra i fiumi Senio e Lamone, che al tempo dei romani servì da serbatoio di grano e vino per le truppe stanziate a Ravenna o dirette nelle Gallie. Dopo la caduta dell’Impero, la pianura e i campi lasciarono il posto a boschi e paludi, come testimonia l’atto di donazione da parte del Re longobardo Liutprando al vescovo di Faenza di 200 ettari del cosiddetto Magnum Forestum. Ci vollero secoli perché la mano dell’uomo potesse restituire quei luoghi al fasto agricolo conosciuto in epoca romana, processo che avvenne lentamente ma evidentemente con successo, dal momento che Bagnacavallo e il suo circondario furono tra le terre più ricche e fertili del dominio estense.
“Etichetta Blu” o “Etichetta Nera”?
Degno “figlio” di questo territorio, il Bursôn è un vino profondo, ricco di profumi e sapori, che si può apprezzare in due diverse tipologie, entrambe prodotte con sola uva Longanesi: Bursôn “Etichetta Blu” (o Blù di Bursôn) e Bursôn “Etichetta Nera”. Le uve utilizzate nel processo di vinificazione dell’”Etichetta Blu” vengono sottoposte a un processo di macerazione carbonica. Dopodiché, il vino ottenuto affronta un periodo di affinamento di almeno 6 mesi in botti di rovere più altri 6 in bottiglia, prima di poter essere messo sul mercato. Il Bursôn “Etichetta Nera” è invece un vino di grande complessità, prodotto con almeno il 50% di uva appassita, caratterizzato da un periodo di affinamento di almeno 20 mesi, trascorsi prima in tonneaux da 5 hl e poi in botte grande, e quindi da altri 6 in bottiglia. Il risultato finale è molto diverso: il Blù di Bursôn o “Etichetta Blu” è un vino vivace, che si distingue per i suoi sentori di frutta, ciliegia e viola, con un finale dominato da note speziate che lo rendono il candidato perfetto per accompagnare delicati piatti di carne o primi importanti. Il Bursôn “Etichetta Nera” è un vino di grandissima struttura, le cui note di cioccolato, frutta matura e liquirizia, insieme al tannino incisivo, sono in grado di prendere il centro del palco e della tavola quando va in scena lo spettacolo dei secondi sontuosi quali, ad esempio, l’arrosto di cinghiale o lo stinco di maiale al forno.