Romagna Trebbiano DOC: un calice di tradizione con note di futuro | Consorzio Vini di Romagna
luglio 2021 | Vino

Romagna Trebbiano DOC: un calice di tradizione con note di futuro

I viticci di Trebbiano ancorano questa varietà alla storia e alle tradizioni della Romagna. Un vitigno unico, con una storia antica e un futuro luminoso.

Sangiovese - Lambrusco, tortellini - cappelletti e, perché no, anche Bologna - Cesena, una partita che la massima serie del campionato italiano non ha il piacere di ospitare dalla stagione 2011-2012. Come forse si è già capito, il derby, o l’incontro-scontro che dir si voglia, è faccenda che in Emilia-Romagna scorre nelle vene tanto degli emiliani quanto dei romagnoli (e a ben vedere, è sempre questione di trattino, e di cosa vada prima e di cosa vada dopo, quel fatidico trattino). Insomma, aggiungere dettagli o capitoli al secolare duello fra le due anime di questa regione non sarebbe poi molto interessante, ed è per questo che oggi vogliamo parlarvi di uno scontro intestino, che divide la Romagna enologica: Sangiovese – Trebbiano, o ancora, viticoltura di collina contro quella di pianura. Se della varietà a bacca rossa più celebre di questa terra tanto abbiamo già scritto e molto diremo, vale la pena spendere qualche parola per un vitigno e un vino, il Romagna Trebbiamo DOC, che più di qualsiasi altro ha accompagnato la storia e l’evoluzione delle tavole romagnole.

Trebbiano: un etimo inafferrabile per un vitigno dall’identità unica

Partiamo intanto dall’origine e dell’evoluzione del nome trebbiano: per molti autori l’attuale termine con cui ci riferiamo tanto al vitigno quanto al vino, deriverebbe dal latino Trebulanum, basandosi sul fatto che Plinio, nella sua Historia Naturalis (libro XIV) accenna a un vinum trebulanum, stesso nome del popolo, i Trebulani balinienses, che abitava la Campania Felix. Per Bacci, invece, il trebbiano sarebbe originario dell’omonima località posta nei dintorni de La Spezia. Altre ipotesi sull’origine del nome farebbero riferimento al fiume Trebbia, che dall’Appennino ligure scende fino al Po in territorio piacentino, o al termine Trebbio, che nell’italiano antico faceva riferimento a un trivio, il punto d’incontro tra tre vie. Ma la prima citazione certa, riguardo la coltivazione tra l’Emilia-Romagna e le Marche del trebbiano, risale al 1304 ed è di Pier de Crescenzi:

“Ed è un altra maniera d’uve, la quale trebbiana è detta, ed è bianca col granello ritondo, piccolo, e molti grappoli avente: nella gioventù è sterile, e procedendo, in tempo diventa feconda, faccente nobile vino e ben serbatojo: e questa maniera per tutta la Marca spezialmente si commenda”.

Facendo un salto etimologico e immaginario di qualche secolo, scopriamo che le numerose tipologie di Trebbiano di Romagna elencate nelle ampelografie e nei Bollettini ampelografici di fine Ottocento, vennero ricondotte a 3 soltanto dal dott. Bazzocchi della Cattedra ambulante di Forlì nel 1923: Trebbiano della fiamma, Trebbiano di Solarolo, e Trebbiano montanaro.

Una, nessuna, o centomila che siano le varietà romagnole del trebbiano, l’apprezzamento crescente per questo vitigno è dimostrato anche dalla segnalazione all’interno della prima Guida gastronomica d'Italia, pubblicata dal Touring Club Italiano nel 1931, dei vini di trebbiano della pianura di Lugo e dintorni; si trattava di un primo importante, riconoscimento che scalfì l’immagine cristallizzata di un vino adatto solo alle “tavolacce” delle osterie, di base per la vinificazione di Vermouth o delle ormai dimenticate bollicine romagnole.

Il futuro del Trebbiano? Si scrive Novebolle

Pochi lo sanno, ma all’inizio del XX secolo, la Romagna conobbe un brevissimo periodo di fama dovuta alla produzione dei propri spumanti, conosciuti e apprezzati in Italia e all’estero, in grado quasi di competere, per qualità e prestigio, con i leggendari champagne francesi. Alcuni esempi di questi celeberrimi spumanti furono lo Champagne Sarna di Francesco Baldi, prodotto nel Faentino, e lo Champagne La Tour, prodotto nella fattoria dei principi Torlonia a San Mauro Pascoli. Nel 2018, con l’intenzione di recuperare questo tratto dimenticato della tradizione enologica romagnola, il Consorzio Vini di Romagna, in sinergia con alcuni produttori, ha creato un marchio collettivo: Novebolle.

Il nome richiama i fasti di inizio Novecento, epoca d’oro dello spumante nostrano, ma anche il numero dei colli romagnoli, scenario dell’omonima granfondo ciclistica che ripercorre le vie del vino del territorio. Ma Novebolle racconta anche un nuovo concetto di spumantizzazione, che tende una mano verso un glorioso passato, ma guarda al futuro enologico della Romagna, partendo proprio da due vitigni iconici di questa terra: il sangiovese e proprio il trebbiano, basi degli inediti Romagna Rosato DOC Spumante e Romagna Bianco DOC Spumante.

Ma Novebolle racconta anche un nuovo concetto di spumantizzazione, che tende una mano verso un glorioso passato, ma guarda al futuro enologico della Romagna

Romagna Trebbiano DOC: fresco, sapido, romagnolo

Ma di cosa parliamo quando beviamo Romagna Trebbiano DOC? Parliamo di un vino che si presenta di un colore giallo paglierino più o meno intenso, con sfumature che variano in base al livello di maturità delle uve in epoca di vendemmia. Dal punto di vista olfattivo si viene travolti da aromi floreali, ma non mancano note fruttate che vanno dalla mela verde alla frutta esotica, mentre al palato si percepisce una buona struttura che si affianca a una altrettanto buona freschezza e sapidità.

Ma soprattutto parliamo di un vino che ha saputo trascendere e reinventare la tradizione, quello che più di ogni altro lascia intravedere nei suoi riflessi che vanno dal verdognolo al giallo chiaro la forza creativa e il carattere mai domo dei romagnoli.